lunedì 28 gennaio 2013

Three steps for glory...


Quello che vi accingete a leggere, è un “editoriale” molto particolare scritto dal mio vecchio amico Tommaso Consortini (conosciuto sul web come T.C. the Punisher) all’indomani dell’evento in pay-per-view TNA Bound for Glory 2011, show che ha avuto luogo a Philadelphia, Pennsylvania il 16 ottobre 2011.
Si tratta di un pezzo molto fuori dagli schemi, una sorta di editoriale in narrativa che cerca di unire, con semplicità e con un po’ di fantasia, la passione per il wrestling ad un filone poco o per niente presente sul wrestling web.
Per quel che mi riguarda, si tratta dell’articolo più bello, suggestivo ed emozionante che io abbia mai letto a proposito del wrestling.



16 ottobre 2011, Philadelphia, Liacouras Center: da qualche parte nel backstage…

Sono arrivato presto stamani, senza programmare niente o preoccuparmi di dove e quando andrò a pranzo: avevo bisogno di venire qua il prima possibile, di respirare quest’aria, di godermi questa atmosfera, di sentirmi addosso la tensione della grande serata, di provare quel brivido unico che ti fa ribollire il sangue.

Restare in albergo fino alle 2 del pomeriggio sarebbe stata solo una tortura, mi sarei sentito un leone in gabbia e la tensione mi sarebbe salita alle stelle ancora prima di arrivare qua…

A certe cose non ci si abitua mai, nemmeno alla mia età.

Jennifer è stata comprensiva e non ha fatto obiezioni quando mi hanno visto andare via così di buon ora: sa quanto sia importante questo giorno per me e quanto ci tenga a renderlo speciale, a fare in modo che tutto vada bene dopo quei maledetti giorni trascorsi in un letto di ospedale con la schiena a pezzi nella speranza di recuperare in tempo…

Lascio la mia borsa negli spogliatoi ancora deserti e vado a passeggiare nei corridoi già invasi da un esercito di tecnici delle luci, cameramen, membri dello staff e raccomandati di lusso con un pass appuntato sul petto e rimediato chissà dove: stringo la mano a una decina di sconosciuti e a una ventina di conoscenti (e pensare che ero venuto prima per incrociare meno gente possibile…), qualcuno scherzosamente mi chiede cosa ci faccia tra i piedi già a quest’ora, io abbozzo un sorriso poco spontaneo, liquido tutti con frasi di circostanza e proseguo la mia camminata solitaria cercando di dare il meno possibile nell’occhio.

Mi guardo intorno con un’aria soddisfatta, mi godo ogni metro, mi interesso a qualsiasi cosa veda o senta e mi stupisco di come certe volte nella vita ci si ritrovi a vedere con occhi diversi ciò che ha sempre fatto parte della quotidianità, ad avere una percezione diversa di tanti aspetti che le abitudini hanno reso, almeno in apparenza, scontati: queste “riscoperte”, mi fanno stare bene e sentire in pace con me stesso, è una sensazione gradevole che ho ricominciato a provare da un po’ di tempo a questa parte e di cui non sembro averne mai abbastanza…


Quando la tua vita va in frantumi e l’unica cosa che ti separa dall’oblio è la canna di pistola che un proiettile sta per attraversare prima di raggiungere la tua tempia, ti rendi conto che non ci sono più  tante opzioni a disposizione: o hai fortuna sfacciata di cambiare di colpo prospettiva oppure hai chiuso per sempre. A me è stata concessa una seconda chance, non so nemmeno spiegarmi il perché, so solo che la voglio sfruttare fino in fondo, senza perdermi niente o rinunciare a tutto ciò a cui tengo, mi basta questo per essere a posto con la coscienza e andare avanti a testa alta.

A un certo punto, tra un pensiero e l’altro, mi ritrovo quasi senza volerlo sulla rampa di accesso all’arena di fronte al gigantesco schermo ancora spento e resto senza fiato alla vista delle tribune vuote e avvolte dalla penombra: soltanto il ring è illuminato da qualche riflettore e, in quel silenzio surreale, mi sembra un altare al centro di una cattedrale vuota che aspetta solo di essere “risvegliata” da un po’ di calore umano, un grande focolare pieno di legna desideroso solo di una magica scintilla…

Mi avvicino piano piano per non disturbare con i miei passi la religiosa quiete che regna intorno a me e faccio un giro intorno al quadrato fissando il tappeto pulitissimo: quattro lati uguali, tre corde equidistanti,  trenta anni spesi lì in mezzo tra sudore, ematomi, sangue e fratture…

Tre gradoni d’acciaio per salire sul tetto del mondo, tre passi per la gloria, tre passi nella leggenda.

Detta così suona bene, una geometria perfetta, il centro di un universo, il confine invisibile tra ciò sono e ciò che sono voluto diventare.

Fisso di nuovo il ring è di colpo mi succede una cosa bizzarra, una di quelle cose che non racconti a nessuno perché sei tu il primo a sapere che nella loro assurdità non hanno spiegazione: per una frazione di secondo rivedo infatti Andrè appoggiato alla terza corda che, con quel suo vocione, mi urla sorridendo: “piantala di rimuginare e porta il tuo culo qua sopra!”…


Attimi del mio passato rimasti sepolti nell’abisso delle memorie per decenni, istanti della mia vita che non ricordavo nemmano di aver vissuto…

Mancavano solo due giorni a Wrestlemania III quando Andrè mi disse quelle parole e ancora non riuscivo a eseguire fluidamente il body slam che doveva concludere il nostro match, forse per paura di far male a entrambi oppure più semplicemente perché era qualcosa che andava contro le leggi della fisica e della logica: quel testardo però insisteva affinché riprovassi per l’ennesima volta, non si voleva arrendere all’evidenza, sarebbe andato avanti fino a notte fonda se fosse stato necessario.            
“Una cosa del genere non se la scorderanno tanto presto!” continuava a ripetermi.

Mai parole furono più vere e mai nessuno più di Andrè riuscì a fare di me quello che sono oggi: meritavi altrettanta gloria amico mio, credimi, e sarebbe stato bello averti qui a mio fianco stasera…

I passi di alcuni tecnici sulla rampa d’accesso mi svegliano brutalmente da quello strano “sogno”,  il quadrato di fronte a me è di nuovo vuoto e ho giusto il tempo di “togliermi qualcosa che mi è entrato nell’occhio” prima di ritrovarmi con la mia beata solitudine irrimediabilmente violata. Taglio corto con i convenevoli e giro i tacchi, caccio dentro la malinconia a calci nel sedere e mi sforzo di non dare troppo peso a quanto mi è appena successo: certe volte la mente gioca brutti scherzi e con l’età si diventa, inevitabilmente, troppo sdolcinati.

L’arrivo dei miei colleghi coincide con l’inizio del caos nei corridoi e nel momento in cui realizzo che il conto alla rovescia è partito provo un’incontenibile emozione mista a frenesia: telefono a Jennifer per comunicarle il mio stato d’animo e, mentre le parlo, ripenso tutte le volte che è riuscita a trovare le parole giuste per farmi superare i momenti difficili, a ridarmi fiducia in me stesso quando tutto sembrava andare male e quella stronza sanguisuga della mia ex moglie mi faceva sapere, tramite il suo avvocato pezzente, di desiderare la mia testa su un piatto d’argento.

Telefonare a lei o ai miei figli prima di un evento importante è un rituale a cui non rinuncerei per niente al mondo, è il mio unico portafortuna, mi aiuta a tenermi agganciato alla realtà anche dopo aver girato l’interruttore nel cervello: in questo lavoro devi essere il primo a credere in cosa fai e in ciò che rappresenti ma se resti “fuori” troppo a lungo inizi ad andare alla deriva, resti prigioniero di quel guscio che ti hanno costruito intorno e alla fine ti perdi dentro te stesso…


Mentre mi sto dirigendo negli spogliatoi incrocio quello schizzato di Ric ancora convalescente dall’infortunio al braccio che sta facendo il filo a una bella ragazza delle produzione che potrebbe essere sua figlia o magari sua nipote: maledetto bastardo, quando lo capirai che qui ormai siamo solo due fottuti dinosauri? Gli stringo la mano e mi fermo a parlare un po’ con lui, è su di giri come al solito, sprizza energia da tutti i pori e non vede l’ora che lo show inizi: Ric è un bravo ragazzo, uno della vecchia scuola, anche se in passato abbiamo avuto le nostre divergenze e i nostri contrasti (perchè due galli nello stesso pollaio “devono” per forza beccarsi…), adesso tra noi c’è davvero un bel feeling, una sintonia quasi sorprendente. E poi tra vecchi dinosauri ci si rispetta sempre.

La nostra conversazione dura giusto un paio di minuti, poi ci salutiamo e ci diamo appuntamento a più tardi: Ric potrebbe congedarsi da me in tanti modi però se ne esce con un inaspettato “cerca di non farti male stasera, ho ancora voglia di dartele di santa ragione!” che mi strappa il primo sorriso “vero” della giornata.
     
Raggiungo gli spogliatoi facendomi largo attraverso un fiume di persone indaffaratissime, apro la borsa, e inizio a cambiarmi: gesti ripetuti migliaia di volte, spesso con entusiasmo, talvolta con rabbia, mai con amarezza.  Osservo le cicatrici sul ginocchio e sull’anca, ripenso a quanto problemi mi hanno causato in tutti questi anni e mi sento orgoglioso di non avergliela mai data vinta, neppure per un istante, anche contro il parere del chirurgo: mi infilo pantaloncini, bandana e maglietta, mi assicuro che il tutore sul ginocchio sia ben stretto e infine mi piego in avanti per legarmi gli stivali  “sentendo” le vertebre basse che, nella loro rigida flessione, mi mettono in guardia da eventuali azzardi sul ring con una tagliente fitta di dolore.

Sono pronto.

Dio ti prego, proteggi la mia schiena e tutto il resto, fai che tutto funzioni a dovere e che possa lasciare questo posto con le mie gambe…

Mi concedo un’ultima occhiata allo specchio non senza un po’ di compiacimento e torno nel corridoio: ripeto il percorso di prima e mi fermo dietro allo schermo gigante in attesa del mio turno. Il tempo è trascorso molto in fretta oggi, forse troppo in fretta…

Mentre sto aspettando vengo raggiunto da Steve e insieme ripassiamo i dettagli del nostro incontro in modo da non lasciare niente al caso: entrambi sappiamo che non sono più in condizioni ottimali e dobbiamo stare attenti ad ogni nostro singolo movimento senza che il pubblico se ne accorga, sarà dura ma Steve è uno dei ragazzi più in gamba con cui abbia mai lavorato, lo conosco da tantissimo tempo e mi fido ciecamente di lui anche se il tono se nel tono della sua voce percepisco un pizzico di preoccupazione…


La nostra chiacchierata viene brutalmente interrotta da quell’idiota di Vince Russo che inizia a spararci stronzate sul minutaggio del match e sul ritmo da tenere: per fortuna, prima che apra bocca per mandarlo a quel paese, Steve lo liquida con un elegante quanto gelido “grazie Vince, adesso sappiamo cosa fare quando sentiremo le nostre musiche d’ingresso…” che lo fa rapidamente scomparire tra la folla nel corridoio.

Finiamo finalmente la nostra conversazione in santa pace e, un istante prima che Steve se ne vada lo afferro per un braccio, lo guardo fisso negli occhi e gli dico che è tutto sotto controllo: lui annuisce, mi squadra con uno sguardo altrettanto serio e si allontana con un’espressione in apparenza più sollevata. Si è sempre più bravi a convincere gli altri che noi stessi, c’è poco da fare.

Ho ancora un’ora abbondante prima di andare in scena così inganno il tempo scherzando con i ragazzi più giovani che aspettano insieme a me: in quelle facce tese ma prive di rughe mi sembra quasi di rivedere Randy e i vecchi amici di un tempo, quando sul ring ci sentivamo tutti delle divinità e ci cullavamo nell’illusione che le cose non sarebbero mai cambiate, che niente ci avrebbe mai fermato…

Angeli con le ali spezzate che se ne sono andati troppo presto solo perché hanno avuto meno fortuna di me…

Già, sono un vecchio fortunato…

Nel giro di pochi secondi sento un nodo salirmi alla gola che inizia a soffocarmi senza tanti complimenti: ho tenuto lontano questo pensiero dalla mia testa fin da quando mi sono svegliato ma ora non riesco più a nascondermi che stasera potrebbe essere l’ultima volta che faccio esplodere un’arena, che mi diverto a  sballottare il mio avversario, che mi strappo la maglietta e faccio ciò in cui sono più bravo…

No, il wrestling mi ha dato tanto, è la mia ragione di vita, non sono pronto a vedere la fine del sogno…

Un vero wrestler non si ritira mai…


I pensieri si rincorrono a un ritmo incessante, ho un attimo di esitazione a un paio di metri dalla rampa di accesso, sarei quasi tentato di tornare indietro ma poi sento tutto l’Ocean Center chiamarmi a gran voce, il mio nome risuona così forte da far tremare le mura dell’edificio e come per magia…il nodo alla gola si scioglie, l’adrenalina va alle stelle, i muscoli si flettono e il cuore comincia a battermi forte!

Dovrei provare tormento, dovrei essere una massa di muscoli dolenti e incapaci di muoversi ma invece adesso ho di nuovo trenta anni, anzi venti! Il richiamo della folla è un battesimo, sono rinato!

Parte la mia musica! Le grida diventano talmente alte che a stento riesco a sentire le note! Mi fanno segno di entrare! FINALMENTE!!! I pyros, le braccia alzate, i miei colori, è tutto perfetto, è tutto bellissimo, come sempre, più di sempre. E laggiù in fondo i tre gradoni di acciaio mi aspettano per fare ancora una volta di me un dio…


Tre passi per la gloria, tre passi nella leggenda…

“Piantala di rimuginare e porta il tuo culo su quel ring! Ci sono migliaia di fans che sono venuti qui per vedere Hulk Hogan in azione!”



Tommaso “T.C. the Punisher” Consortini

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